Della funzione pedagogica del far musica
di Renato Meucci - Presidente F.I.M.A.
(tratto dal N°15 LUGLIO-SETTEMBRE 2003 HORTUS MUSICUS)

Qualche tempo fa, leggendo un'intervista ad un romanziere di successo, rimasi colpito dall'importanza che egli attribuiva ad un particolare aspetto formativo della lettura. La narrativa, sosteneva, possiede una capacità di stimolare l'immaginazione che il cinema, ad esempio, non ha. Basti dire, affermava lo stesso autore, che nel vedere un film io osservo i personaggi, non li trovo descritti. La mia immaginazione, insomma, non è forzata a fantasticare e ad 'inventare' le fisionomie e le caratteristiche dei protagonisti, come avviene invece leggendo.
Da questo punto di vista la narrativa costituisce, dunque, secondo lo stesso scrittore, un ottimo ricostituente dell'immaginazione che, in definitiva, è una delle capacità che si cerca di stimolare soprattutto nell'età evolutiva, giacché essa rappresenta parte integrante (o addirittura preponderante) dell'intelligenza. E certo deve essere per questo che fin dalla più tenera età i bambini si esercitano nel gioco, un'attività che contribuisce di sicuro a sviluppare le loro facoltà immaginative e cognitive (e tante altre ancora).
L'ipotesi che la letteratura costituisca, proprio per questa sua qualità, un campo privilegiato rispetto ad altre arti, mi appare suggestiva e convincente. Chiunque di noi abbia sviluppato una qualche passione per la narrativa si e 'inventato' autonomamente le fisionomie dei protagonisti dei testi di volta in volta affrontati, fin dai romanzi letti in gioventù, e poi, via via che il tempo passava e le letture si facevano magari più complesse, è passato dalla ricostruzione immaginaria della fisionomia fino a quella delle personalità e delle psicologie dei personaggi che affollavano tali letture.
L'argomentazione di quel romanziere, così semplice ed efficace al tempo stesso, mi ha portato allora inevitabilmente a pensare al potere evocativo della musica e alle capacità di quest'ultima di esercitare un'altrettanto energica funzione di stimolo delle facoltà immaginative.
La musiqne est un jeu d'enfant recita il titolo di un volume di pedagogia musicale, ed esso racchiude in sé buona parte (o almeno una parte) della risposta che mi sono dato. Rispetto alla letteratura la musica esercita, laddove affrontata con coscienza e profondità - e qui mi permetto per cautela di limitare il mio discorso al solo versante della musica occidentale -, una duplice funzione di stimolo cognitivo, essendo al tempo stesso sviluppata almeno su due piani: quello temporale (il suo svolgersi nel tempo), e quello sincronico o 'verticale', come lo definirebbero gli specialisti (cioè il suo presentarsi simultaneamente con più 'voci', la sovrapposizione delle quali è percepibile autonomamente come somma dell'esecuzione contemporanea di più suoni differenti).
Insomma, se manteniamo valido il parallelo con la letteratura, potremmo dire che la musica consente, rispetto all'arte narrativa, non solo di dare un senso alla narrazione o al monologo dei singoli 'protagonisti', ma permette altresì di percepire con un senso compiuto anche la sovrapposizione delle singole voci, il loro manifestarsi simultaneamente, che non a caso in letteratura non ha luogo (d'altronde, quale lettore potrebbe affrontare la comprensione contemporanea di più testi diversi?).
Questa facoltà dell'arte musicale viene inoltre accresciuta da quello che è, apparentemente, anche un suo limite: il non essere un'espressione semantica univoca. Il fatto che il linguaggio sonoro - a parte ovviamente gli impieghi segnaletici - non abbia un significato preciso (cioè riassumibile esaurientemente a parole) ne esalta ancor di più la suddetta facoltà, giacché la musica è in grado di stimolare la fantasia dell'ascoltatore anche per questo suo essere esclusa da una funzione semantica inequivocabile. Esiste, è vero, la musica 'descrittiva', che pretende di evocare didascalicamente determinate situazioni reali, ma provate a togliere i 'titoli' o il 'programma' della medesima, e il suo significato apparirà immediatamente meno univoco e intuibile di quanto creduto fino a quel momento (vorrei vedere quanti indovinerebbero, senza essere a conoscenza del titolo, il riferimento alle Quattro Stagioni ascoltando la celebre composizione vivaldiana, o immaginerebbero lo scenario delle Alpi in un'altrettanto celebre sinfonia di Strauss).
Insomma, sebbene nessuno possa negare il suo essere un linguaggio autonomo e compiuto, la musica non ha la funzione semantica di una lingua, se non quando - al suo livello più rudimentale - serve ad indicare, ad esempio, ai soldati di radunarsi sul piazzale d'armi, o che è giunta l'ora del rancio. È suo compito invece stimolare la fantasia e l'immaginazione dell'ascoltatore anche grazie alle due principali proprietà sopra ricordate, quella di svolgersi nel tempo e quella di esporre autonomamente più di una voce per volta.
All'interpretazione di queste proprietà, campo di indagine specifico della psicologia e della filosofia della musica, è stata dedicata una miriade di studi specialistici, e a queste discipline va ovviamente il compito di esprimersi compiutamente al riguardo.
C'è però ancora una funzione, molto più pratica, che si riscontra nel linguaggio musicale e parimenti in quello teatrale, una funzione che vorrei definire 'pedagogica'. Mi riferisco all'attività meramente pratica del far musica, la quale, quando esperita attivamente, ad esempio da un fanciullo, costituisce un'esperienza formativa che, qualora i politici conoscessero la musica, verrebbe sicuramente sfruttata a fini di educazione relazionale, se non addirittura civica. Quale migliore attività formativa, infatti, di quella che abitua ad esprimersi, magari anche solisticamente, al momento appropriato, e poi a tacere quando viene il turno degli altri interlocutori? La musica dunque - e, lo ripeto, anche il teatro - come possibile attività formativa di un sentimento della collettività e come esercizio di socializzazione. Un ambito che mi sembra non a caso lontano dalle preoccupazioni formative della nostra scuola e che - a parte le eccezioni costituite da quei docenti che svolgono un ruolo personale particolarmente spiccato in tal direzione - resta comunque escluso da una sistematica programmazione scolastica. Anzi, mi viene un sospetto: che non sia casuale in Italia l'assenza di una formazione musicale adeguata, non solo a livello di base, ma persino - e in maniera generalizzata - nella stessa cultura ufficiale. Quante volte capita di sentire degli intellettuali affermare "si tratta di musica, sa, io non me ne intendo", come se fosse consentito agli uomini di cultura affermare che non si intendono - che so io - di storia dell'arte, oppure di poesia, o magari di cinema. Ebbene, il sospetto di cui parlavo è che esista appunto una relazione tra questa lacuna nella formazione culturale moderna in Italia e le stesse carenze di senso civico e comunitario che tante volte riscontriamo nel nostro Paese. Per questo ritengo che, se i politici conoscessero tale prerogativa della musica, ne farebbero tesoro. Ma come si può chiedere ai politici di occuparsi di qualcosa che è trascurata anche dagli intellettuali, alcuni dei quali si fanno addirittura scudo della propria ignoranza al riguardo?